L'uomo dei rossori e degli esempi

Gian Paolo Ormezzano, "La Stampa", 4 settembre 1989

In morte di Gaetano Scirea si rischia soltanto di scrivere articoli che lui non approverebbe. Grandi rossori gli procuravano le definizione positive, elogiative, sovente entusiastiche che peraltro lui meritava tutte, e in pieno. Lui pensava semplicemente di fare bene il lavoro al quale era naturalmente portato. Non capiva gli applausi quando riteneva di avere fatto il suo dovere: e siccome faceva sempre il suo dovere, gli applausi lo mettevano a disagio. Così come lo avrebbero messo a disagio i fischi, che però non ci furono mai: perché fischiare uno che ce la mette tutta e non ce la fa? Da una considerazione di questo tipo nacque probabilmente il suo enorme rispetto per i meno bravi, i meno dotati, che lui superava sempre e non umiliava mai. Il suo personaggio apparve sempre perfetto, nitido, rotondo, polito. Così normalmente chiaro, insomma, da apparire pressoché costantemente anomalo nel mondo del calcio. Scirea non sapeva darsi arie, non sapeva «vendersi» bene, chiedeva soltanto il rispetto per la propria onestà, il riguardo verso la sua serenità.

Si presentò a Torino nel 1974, veniva dall'Atalanta, aveva tutte le stimmate del campione. Nella Juventus divenne subito, da bravo, bravissimo. Ricordiamo quando ce lo presentò Spinosi, in un circolo vicino allo stadio. Non sapevamo manco se si pronunciava Scìrea o Scirèa. Notammo di lui la timidezza, e il grande naso. Gli dicemmo che approdava alla società italiana più calma, serena, sicura. Pensavamo che dalla Juventus Scirea avrebbe preso molto. In realtà lui alla Juventus diede moltissimo. Sino al campionato 1987-88 fu il giocatore bianconero più preciso, più puntuale. Per molte stagioni fu anche il più grande. Nell'ultimo campionato seppe gestire il declino fisico con la stessa classe con cui aveva gestito la sua superiorità negli anni belli, massimi. Poi divenne allenatore in seconda, è morto sul lavoro. 
Le cose importanti su Scirea sono quelle che non abbiamo scritto, perché non erano giornalistiche. Modestia e calma, serenità e sincerità, dignità massima costante e intanto costante sentimento di gratitudine al destino che come calciatore lo aveva trattato bene, dandogli tutto. Come scrivere di queste cose? Scirea è stato anche la prova dell'incapacità giornalistica di dare a tutti tutto il dovuto. Molto più facilmente scorreva la penna, andavano su e giù i tasti per personaggi obliqui, difficili, contorti. Personaggi anche, abbiamo detto e pensato più volte, in una sorta di bestemmia concettuale, giornalisticamente più utili, più redditizi di Gaetano. Scirea è stato infinitamente utile, redditizio alla Nazionale, alla Juventus. Ha vinto come nessun altro, ha vinto senza mai conquistare. Sembrava che il successo si adagiasse su di lui. Altri, per entrare in contatto con il successo, avevano bisogno di artigli.

Giocatore purissimo, avrebbe potuto amministrarsi con metodicità sparagnina: era così pieno di classe che il pallone andava a lui. Ma volle andare al pallone, fare tutto il massimo ad ogni partita, darsi al gioco nella pienezza della sua classe. Aveva scelto il ruolo di libero non per difendere comodamente, ma per offrire del ruolo stesso una nuova chiave di lettura. E' stato elegante come Beckenbauer, combattente come Baresi, ardente come Passarella. 
Ci accorgiamo che mancano, per ricordarlo nella maniera più facile e bonaria, gli aneddoti. Mancano le curiosità, le stramberie. C'è il ricordo di un artista che bollava la cartolina, ecco Scirea. Nessun altro come lui che, così semplice, essenziale, umile e forte, è stato anomalo, quasi assurdo nel calcio matto del quale lui manco voleva sorridere, per non apparire di esso, in qualche modo, complice.

Fonte