Vavá

Peito de Aço


Edvaldo Izidio Neto detto Vavá (Recife, 12 XI 1934 – Rio de Janeiro, 19 I 2002) | Pentavalida

"Solitario monumento vivente della squadra più grande tra le grandi, quella che nel '58 stupì e rivoluzionò il mondo del calcio, quella appunto di Didì, Vavà e Pelè. E poi ancora di Garrincha, Zagalo, dei fratelli Santos, del portiere Gilmar e di tutti gli altri campioni. 
Vavà di quella formazione è la concretezza. Non ha il genio di Pelè, non ha la vita disastrata e le serpentine impazzite di Garrincha. O l'intelligenza tattica di Zagalo. Ma non è un campione per caso, come una specie di Ringo Starr dei Beatles, è capitato in mezzo a quei giganti perché era giusto ci capitasse. Gli altri sono baciati dal destino? Gli altri hanno la magia nei piedi? Pazienza, lui va a prendersi la gloria a testate, con i gomiti, con le corse a perdifiato, con la forza della volontà, con il coraggio. Soprattutto con la generosità. 
E' la prosa dentro la poesia. Dà equilibrio. Grazie al suo opportunismo, completa nel modo migliore quello che gli altri creano. Didì inventa azioni perfette e impossibili, lui le conclude buttando la palla in rete. Grande sintonia, dentro e fuori il campo. Non a caso gli amici di Vavà raccontano che abbia iniziato a spegnersi in un pomeriggio di pioggia di un anno fa, quando morì il suo compagno, stroncato da un tumore al fegato.
Vavà, che da alcuni mesi è costretto su una sedia a rotella da un ictus, non vuole mancare al funerale. Fermo, immobile, con gli occhi bassi a piangere la prima parola della poesia che se ne andava. Da quel giorno il suo immancabile sorriso non è più luminoso come prima, perso un tassello, il mosaico non è più bello come prima.
Il sorriso è da subito il suo timbro. Solo sul campo non sorride: si limita a fare gol. Belli e brutti, non importa, ma sono molti quelli che lasciano un segno nella storia del calcio. Il suo nome è tra i marcatori nella finale dei Mondiali del '58 in Svezia. Il giovane Pelè è la stella, ma a rimettere a posto le cose dopo il vantaggio segnato da Liedholm è proprio Vavà. Che poi segna ancora.
Lo stesso fa quattro anni dopo in Cile, dove lascia di nuovo il sigillo sulla finalissima: è suo il 2 a 1 che chiude l'incontro con la Cecoslovacchia (il risultato sarà poi di 3 a 1).
Gol, gol e ancora gol: 10 in due edizioni mondiali, 15 su 25 presenze con la maglia della Nazionale, fuori dalle statistiche quelli realizzati con la sua squadra storica, il Vasco de Gama, e con gli altri club dove ha giocato: Atletico Madrid in Spagna, America in Messico, San Diego negli Usa e sempre in Brasile Palmeiras e Poruguesa.
Finita la carriera rimane nel calcio, sempre un metro indietro, sempre con quella sua facciona da bulldog. Ai Mondiali dell'82 in Spagna è il vice di Tele Santana alla guida della selezione verdeoro. Vede giocare l'Itala e ripensando al suo Brasile commenta sicuro: "Questi non andranno avanti, litigano troppo tra di loro". E' una delle pochissime volte che il suo fiuto lo tradisce.
Ora che se ne va, lo accompagna il saluto del re Pelè: "Noi brasiliani non gli abbiamo attribuito il valore che merita, è il momento di riparare a questo errore. Era un grande, un grandissimo e io adesso sono un po' più solo". In cielo, Vavà stiracchierà un sorriso, un attimo prima di raccogliere un lancio di Didì e fare gol. Perché le poesie non muoiono mai".

Massimo Vincenzi, La Repubblica, 19 gennaio 2002